Travolti da immagini che rimandano l’orrore di crimini di lesa umanità e da profluvi di parole che seppelliscono le verità, invochiamo silenzio. Alziamo occhi al cielo e pensiero al cosmo, ma il silenzio cosmico non esiste. Lunghi tunnel blu, nella campagna pisana, formano il complesso meccanismo dell’interferometro Virgo, che rileva i sussurri dell’universo, suoni di onde gravitazionali che si propagano occupando lo spazio cosmico e giungono a noi, pur non udibili dalle nostre orecchie per la loro bassa frequenza. Virgo capta e traduce segnali prodotti da fenomeni cosmici avvenuti milioni e miliardi di anni luce dal nostro pianeta, in luoghi remotissimi, echi di cataclismi cosmici. È stato Adalberto Giazotto – figlio del famoso musicologo e compositore che ha ricostruito, reinventandolo, il celebre Adagio in Sol minore di Albinoni – a creare Virgo.
Dove trovare silenzio, quindi?
“Ho conosciuto il silenzio”, scrive Edgar Lee Masters,
“il silenzio delle stelle e del mare /
e il silenzio della città quando si placa /
e il silenzio di un uomo e di una fanciulla /
e il silenzio con cui soltanto la musica trova linguaggio. /
Il silenzio dei boschi /
prima che sorga il vento di primavera /
e il silenzio dei malati /
quando girano gli occhi per la stanza /
e mi chiedo /
per le cose profonde /
a che serve il linguaggio”.
Dito indice sulla bocca, Arpocrate, dio del silenzio degli antichi egizi, otto secoli prima di Cristo intima di tacere, con un gesto, signum, che dagli amuleti si riverbera in quello della dea romana Angerona e, superando tempo e spazio, si ripete in San Pietro Martire di Beato Angelico (XV sec.) – che ricorda ai monaci che il silenzio è una regola dell’ordine domenicano – in una lunetta del Convento fiorentino di San Marco, come nel dipinto di Odilon Redon, Silenzio (1900), al MoMA di New York.
Tace la narrazione in dipinti come Sunday morning di Edward Hopper e si spegne il vociare cittadino nelle Piazze d’Italia di de Chirico. Se Il grande silenzio (2005), film di Philip Gröning, riprende la silente, serena quotidianità dei monaci nel più antico monastero dell’ordine dei certosini sulle montagne francesi, in ambito profano resta scolpita la frase che Fellini, nel finale de La voce della luna (1990), fa dire a Benigni:
“Eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio,
se tutti facessimo un po’ più di silenzio,
qualcosa potremmo capire”.
Silenzio, per far riemergere ciò che è importante dalla miriade di strati di banalità e di cenere sotto cui giace sommerso.
Se si volesse dare un volto al rumore che minaccia il mondo, potrebbe essere quello del Maligno che si temeva potesse farsi strada nell’essere umano attraverso la bocca, e forse il silenzio ideale è proprio quello degli dei “che si capiscono senza parlare”. Il violoncellista Mario Brunello, che ha fatto risuonare le note di Bach sulle cime delle Dolomiti, sul monte Fuji, nei conventi e nel deserto, confessa: “Più penso al silenzio e più la musica mi parla”.
Non ascolti, ma letture:
Mario Brunello, Silenzio
Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva