Cronaca di una metafisica presentazione: Biennale 2026

28 Maggio 2025

27 maggio 2025: Venezia, dalla sala delle Colonne di Palazzo Giustinian si attende, in conferenza stampa di presentazione, l’annuncio di chi sarà il curatore della 61. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia (9 maggio - 22 novembre 2026).

La presentazione, che doveva essere fatta il 20 maggio, era slittata.

Molta curiosità ferve in sala.

Parte un video, un cielo azzurro, dei grandi occhiali bianchi sul bel viso scuro e un vestito estivo pieno di colori: «Hallo, sono Koyo Kouoh, sono curatrice della Biennale e non vedo l’ora di vedervi a Venezia nel maggio 2026!». Parte dal pubblico un applauso commosso e una standing ovation fa alzare in piedi la platea di giornalisti. 

Torniamo indietro con un rewind veloce all’ottobre 2024: il Presidente della Biennale, Pietrangelo Buttafuoco, aveva nominato direttrice del Settore Arti Visive e curatrice della 61. Esposizione Internazionale d’Arte, Biennale Arte 2026, Koyo Kouoh, prima curatrice africana della rassegna. Figura di spicco nel panorama internazionale dell’arte contemporanea, nata in Camerun (1967) è stata Direttrice Esecutiva e Chief Curator dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Zeitz MOCAA) a Città del Capo, in Sudafrica, Direttrice Artistica fondatrice di RAW Material Company, un centro per l’arte, la conoscenza e la società a Dakar in Senegal, e ha fatto parte del team curatoriale di Documenta 12 (2007) e Documenta 13 (2012). E molto altro che non enumeriamo.

10 maggio 2025: a dieci giorni dalla presentazione che avrebbe avuto luogo a Venezia, prima di poter annunciare il titolo e i temi della sua Biennale al popolo dell’arte, ha lasciato all’improvviso questo mondo. Aveva 57 anni.

Buttafuoco rievoca, emozionato, il suo primo incontro con lei, quando le diede ufficialmente l’incarico della curatela della Biennale che da 130 anni richiama a Venezia artisti e mondo dell’arte.

«Un bicchiere d’acqua, chiede Kojo Kouoh quando le comunico che le si propone di essere curatrice della Biennale. Un bicchiere d’acqua diventa protagonista di quell’evento. Quando la prego di mantenere riservatezza mi chiede se può dirlo almeno a sua madre. C’è tutto il romanzo di una vita, fatta di sentimenti e pratica del bello in quegli istanti».

Da ottobre ad aprile la curatrice lavora e sviluppa il suo percorso curatoriale, seleziona artisti, opere, e determina finanche l’identità grafica della mostra e l’architettura degli spazi. Ad aprile consegna al Direttore Buttafuoco – sono sue parole – «il quadro filosofico che guiderà la mia curatela della mostra».

Sì, ma, e allora? Sembra di sentire la domanda muta della platea che trepida. Il destino è entrato crudele in questa avventura.

«La Biennale ha deciso di realizzare la sua mostra secondo la sua visione curatoriale e il suo progetto, che verrà realizzato dal suo gruppo di lavoro», dice Buttafuoco, che continua: «Il valore di una vita si misura, oltre il suo spazio di esistenza, nella capacità di lasciare un’impronta». 

Si realizzerà quindi la sua mostra, come da lei immaginata, progettata e consegnata con il contributo del suo gruppo di lavoro, con le figure professionali selezionate e coinvolte direttamente da Koyo Kouoh. Mentre scorrono sul video le immagini che alla Biennale 2026 danno corpo alla visione di Koyo, come ormai tutti la chiamano, salgono sul palco Gabe Beckhurst Feijoo, Marie Helene Pereira e Rasha Salti, Siddhartha Mitter e l’assistente Rory Tsapayi. Appare il titolo sullo schermo: In minor keys. In tonalità minori. In chiavi minori. 

Con tono ispirato si leggono le parole della curatrice: «Fai un respiro profondo, espira, rilassa le spalle e chiudi gli occhi». Questo è l’invito a cominciare a condurre la nostra esistenza nel mondo scalando le marce, sintonizzandosi su quelle frequenze minori che si perdono spesso «nell’ansiosa cacofonia del caos presente». 

In musica, la chiave minore è quella legata alle emozioni; è questo che vuole Koyo per la sua Biennale: coinvolgere i sensi e suscitare emozioni.

Parla, per voce dei suoi collaboratori, attraverso i suoi scritti, di sussurri, mormorii, di quella condotta in ‘sottovoce’ che aborre il tronfio frastuono e fragore orchestrale o le fanfare militari. 

Tanti i pensieri espressi, tutti belli e densi di significato, molte frasi di altri autori a lei cari, che si armonizzano con il suo sentire.

Il tono minore è fermarsi davanti alla travolgente fretta di crescita, di produttività, di riempire la vita di cose da fare, per riscoprire la poesia, l’ascolto, oasi felici quali il giardino, il cortile, e piccoli mondi, universi intimi e conviviali che, specialmente in tempi terribili, possono nutrire e sostenere lo spirito. 

E, per avvalorare l’importanza di sentirsi parte di un tutto e la necessità, individualmente e collettivamente, di darsi forza per uno scopo comune, la curatrice usa spesso la metafora del gruppo musicale dove si procede dando il proprio contributo alla jazz session, ciascuno andando per la sua strada e con i suoi strumenti, ma ascoltandosi e, nella coesione e nella dissonanza, improvvisando con ritmi diversi, ciascun singolo come fondamentale parte di un ‘tutti’, un unico insieme.

Koyo promette una mostra declinata nelle tonalità minori, che invita a dare ascolto ai persistenti segnali della terra e della vita, connessi alle frequenze dell’anima. 

Che bello, ascoltando questo fiume delicato di parole, sentir pronunciare le parole ‘anima’ e ‘trascendenza’ con una naturalezza che a molti di noi occidentali non è più congeniale!

E gli artisti, ci si chiede? Subito la risposta giunge: gli artisti sono canali, conoscono le chiavi delle tonalità minori, aprono porte, nutrono, invitano chi guarda a meravigliarsi, a meditare, sognare, riflettere, in un mondo dove sembra esistere solo la produttività accelerata. Koyo dice di volerli ascoltare piuttosto che parlare per loro. «La mostra del 2026 è partitura collettiva realizzata con gli artisti che punteggiano di immaginazione l’universo intero».

Una visione delicata, semplice e preziosa, quella di Koyo. Non me ne vorrà se la chiamo anch’io così. Mi ha trasmesso con tenerezza il progetto di una pensatrice, prima di essere curatrice artistica che, nel titolo esplicitato, In minor keys, sa parlare piano ed esprimere gran profondità di sentire. 

Anche da un altrove. E, da quell’altrove, sembra suggerire una strada.

L'Autore

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Figlia di collezionisti, occuparsi di arte è stato fluire naturale della passione verso una direzione magnetica. È attratta da tutti i sud del mondo, dal mare e dal cioccolato fondente. Osa, a volte, scattare fotografie. Da cittadina ha scoperto la campagna, generosa fonte di meraviglia. Ama le parole, la lettura e la scrittura, avventure sorelle, e, da accanita idealista, è sempre alla ricerca di nuovi sentieri della mente e dello spirito da sondare, come di gusti da provare. Gli esseri umani, la musica e la bellezza entusiasmano i suoi giorni. Curatrice di mostre, ha scritto su riviste diverse in Italia e all'estero, è felice e onorata di essere nel cast di AW ArtMag sin dalla sua prima uscita. Sempre alla ricerca di un motto, che fatalmente cambia nel dinamismo della vita, trova la sua verità in «per foco sempre».

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