Se parliamo di scenografia, sembra venirci incontro il teatro, con la sua multiforme produzione scenica o, magari, quei principi legati all’arte, alla natura morta che esigono e impongono una sostanziale armoniosità delle sue forme. Invece, il mondo è costantemente scenografia. Nella sua capacità di disegnare naturalmente angoli, baie, paesaggi assolutamente straordinari, imponendo all’uomo le sue leggi, le sue regole. Ma non solo. Basta scivolare tra le cose più semplici. Prendiamo la minima, banale organizzazione di un album di fotografie. Non è cosa scontata, tutt’altro. C’è la necessità di muovere ogni immagine perché si possa integrare con quella che le sta a fianco. A destra, a sinistra? Chissà. Ci guida un istinto personalissimo, direi quasi rabdomante, legato al gusto, alla sensibilità, allo scatto, alla capacità di fondere ogni istantanea accanto all’altra. Strane, imperscrutabili leggi guidano la nostra mano e provano a posizionare ogni cosa, incasellandola nel giusto spazio. Come nell’organizzazione di una mostra d’arte. Si prova, si riprova, sperando di trovare il muro giusto per quell’opera. Un esercizio di sperimentazione svolto, talvolta, con il corredo di un gallerista, di un critico, di un amico. Per colpire l’occhio di chi vuole attraversare quella dimensione, spingendosi oltre lo sguardo.
Ecco, in un mondo dell’arte dove dominano il disordine, la creazione, la fantasia, tutto va poi ricollocato in una dimensione ordinata, puntuale, schematica. Come le pareti di una galleria d’arte che devono dosare sapientemente ogni emozione. Come un catalogo dove anche le cromie vanno rimesse in ordine e posizionate con intelligente creatività. Come una biografia, dove, accanto alle immagini, la stessa cronologia sviluppa il senso di un discorso, di un’analisi, di una critica più o meno articolata. Recuperare un assetto pressoché pianificato dove vive la ribellione, la confusione dei colori e dei materiali, l’incoerenza e la sregolatezza. Un compito che l’arte consegna costantemente al mondo, turbandone i suoi equilibri, le sue gerarchie, i suoi precetti. Ruoli che non hanno regole. Dettati semplicemente dall’esperienza, dal gusto, dall’eccentricità. E mentre ogni collezionista, sulla base del proprio vissuto, resta a caccia del proprio filone culturale ed aurifero, ci si continua a muovere in una babele di linguaggi, di umori, di ispirazioni e di istinti. Ecco perché l’arte resta un gioco complesso. Un dedalo che prova a razionalizzare l’ingovernabile, classificandone faticosamente la disobbediente sregolatezza.