Quelle geometrie su tela

Riflettori puntati su Sandi Renko

Per l’artista fare arte significa sprofondare nella certezza della linea predefinita, controllata, rigorosa

Trieste è da sempre città di confine dalla libertà intellettuale riconosciuta: Sandi Renko, classe 1949, padovano d’adozione ma triestino di nascita, ne respira il fermento culturale proprio quando, tra la fine dei ‘60 e il decennio successivo, contestare ed emergere assumono un significato limitrofo. Vive questi momenti cruciali intriso di un duplice sentire, mai del tutto alieno l’uno dall’altro: quello che lo vuole designer purissimo, quello che lo celebra artista dei più raffinati. In entrambi, Renko mantiene ancora oggi un equilibrio invidiabile tra pura ricerca e funzionalità estetica. In effetti, come ricorda, l’oggetto utile vive per la propria funzione, sebbene rispecchi il sentore dell’epoca che lo ha prodotto e questo sentire non possa essere altro che arte.

Organizza lo sviluppo tonale sul contrasto degli opposti: bianco/nero, vuoto/pieno, luce/ombra

Aderisce quasi naturalmente all’arte programmata, declinata talvolta in optical o in cinetica, all’interno di un più ampio contenitore che è la visual art. Per lui fare arte (programmata) è spogliarsi dell’istintività per sprofondare nella certezza della linea predefinita, controllata, rigorosa. Ne risulta una griglia infinita di soluzioni geometriche bidimensionali le quali, in pieno sviluppo organico, definiscono il mondo che lo circonda attraverso segmenti, sezioni, stringhe, agglomerati di poligoni e figure regolari. Va addirittura oltre: scegliendo il quadrato come forma basica, opera una fusione tra creazione e creatività, garantita dalla solidità intellettuale della figura geometrica e dalle sue infinite traduzioni grafiche.

Il quadrato quindi, sviluppato in relazione alla propria proiezione sul piano bidimensionale, invade lo spazio dando vita, grazie a sovrapposizioni e intrecci, a una texture multiforme in continuo sviluppo: il cubo diviene così illusione pura, stordisce l’occhio con una realtà doppia, tripla, molteplice mentre lo inganna sul suo inizio, sulla sua fine. Il colore completa l’opera, secondo alternanze ritmiche primarie e/o complementari a sollecitare il punto di vista dell’osservatore. Le superfici, le forme, le estroflessioni, le sculture: ogni lavoro di Renko ha dalla sua la semplicità della progettazione. Gli elementi sono essenziali, riconoscibili, misurati.

Il quadrato invade lo spazio con sovrapposizioni, intrecci, texture in continua evoluzione

Hanno a che fare con un materiale povero - il canneté, cartone per imballaggi industriali - che, per la sua duplice faccia concava e convessa, ha la capacità di modulare la linea tirata dal pennarello acrilico, dal pennello o dalle chine, secondo vibrazioni luminose nette e ben definite che diventano onde cromatiche a corto, medio e lungo raggio. Proprio nella matrice della figura geometrica, nelle intersezioni del cubo tridimensionale proiettato sul piano, Renko organizza il suo sviluppo tonale, generato dal confronto degli opposti (bianco/nero, vuoto/pieno, ombra/ luce) e determinato con esattezza dalla teoria del colore e da quella delle ombre.

La vita

Di origini italo-slovene, Sandi Renko (Trieste,1949) vive e lavora tra Padova e Trieste. Inizia a disegnare all’Istituto d’Arte Nordio, dove impara da maestri come lo scultore Ugo Carà e il designer Marcello Siard, da Miela Reina ed Enzo Cogno, giovani protagonisti dell’avanguardia triestina. All’inizio degli anni ’70 si trasferisce a Padova dove apre uno studio di design, comunicazione visiva e art direction, collaborando con aziende leader nel settore. A Padova conosce Edoardo Landi e, stimolato dal contesto artistico e intellettuale del gruppo N, partecipa a collettive, happening ed eventi estemporanei. Consolida l’affinità con l’arte programmata e l’optical art e definisce così la tecnica e il suo linguaggio artistico. In parallelo continua a progettare design e arte con uguale rigore e metodo, con creazioni di grande pulizia ed equilibrio in entrambi i campi. Incoraggiato da Alberto Biasi intensifica la produzione artistica ed espone con regolarità, in collettive assieme a Sara Campesan, Franco Costalonga, Jorrit Tornquist e altri e in numerose personali in Italia, Slovenia e Austria.

 

L'Autore

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Francesco Raffaele Mutti. Milanese di nascita, toscano d’adozione. Ama alla follia la musica di Prince, l’animazione giapponese, il cinema tutto, la letteratura classica, il teatro di Shakespeare e quella cosa bizzarra che sta sotto il nome di “arte”. Si occupa di contemporanea perché crede nell’importanza della gallina di domani. Un giorno incontrò Carlo Pepi che, con quella sua voce sussurrata, gli si rivolse dicendogli: “Tu hai il bernoccolo dell’arte”. E ci ha creduto senza fare domande. Vive in macchina, in giro per l’Italia, convinto che la curiosità raramente abbia fissa dimora.

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