Valli: la Dea italiana che incantò l’America

Bellezza austera, misteriosa, elegante, malinconica, sofisticata, dolce: Alida Maria Altenburger von Marckenstein und Frauenberg, in arte Alida Valli, era tutto questo. Un volto perfetto, occhi profondi, indimenticabili. Ma Alida Valli non era solo bellissima, era anche brava. Possedeva una sensibilità artistica unica, capace di interiorizzare alla perfezione i tumultuosi stati d’animo dei personaggi da lei interpretati. Una dote che colpì anche il vorace star system hollywoodiano che, nella figura del produttore cinematografico David Selznick, la volle a tutti i costi. Una bellezza così candidamente magnifica non poteva sfuggire. Valli nasceva cento anni fa a Pola in Croazia da madre istriana e padre trentino con ascendenze aristocratiche.

Fin da bambina mostra una passione sfrenata per la recitazione: come ricorda l’attrice stessa nelle sue “memorie” (“Racconto la mia vita” racconto a puntate apparso per cinque numeri sulla rivista Tempo nel 1954) era talmente giovane quando si presenta a un corso di recitazione di Milano che non viene presa neanche in considerazione. A conferma della sua precocità artistica basta pensare che il suo debutto ufficiale è a soli quindici anni nel film storico “I due sergenti” (Enrico Guazzoni, 1936). Frequenta, con alterne fortune, anche il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma di freschissima fondazione, da cui però pare venga allontanata. Riesce però a stringere contatti con alcuni produttori e registi: un aneddoto vuole che, proprio fra le mura del CSC, l’attore e regista Mario Bonnard sia colpito dal suo portamento, dalla sua grazia e dalla sua bellezza, al punto da sceglierla come coprotagonista femminile del suo film “Il feroce Saladino” (dove fa una comparsata anche un giovanissimo Alberto Sordi).

È il 1937 e Alida Valli, che cambia nome a partire da questo film, ha solo sedici anni; la partecipazione a questa produzione ne decreta il successo immediato. Mario Mattoli, il regista che la dirigerà in numerosi film negli anni Quaranta, confesserà nel 1974: “…aveva una fotogenia spettacolare, non si riusciva a fotografarla male”. Diventa subito una star di prima grandezza e conquista i cuori del pubblico e le copertine delle riviste patinate. Ha cachet da capogiro, gira fino a quattro film all’anno. Nel 1939 risulta essere l’attrice più amata dagli italiani: è un’icona e le donne ne imitano l’acconciatura, il portamento, il modo di vestire. Anche se è una diva del cinema, il pubblico la vede come la ragazza della porta accanto, fresca, solare, interprete di personaggi falsamente ingenui, innocenti o peperini (Cfr. “Il romanzo di Alida Valli”, L. Pellizzari). Nel 1941, anno di punta della sua carriera, già le dedicano alcune pubblicazioni. E Hollywood, dopo averla vista in “Piccolo mondo antico” (Soldati, 1941), tenta di “rubarla” ma la Valli rifiuta.

Il personaggio di Luisa in “Piccolo mondo antico” dà la possibilità all’attrice istriana di mettere a nudo la sua poliedricità. La sofferta esistenza di Luisa conferisce ad Alida Valli la possibilità di dar vita a un’interpretazione intensa, forte, talmente efficace da spianarle la strada per le produzioni cinematografiche del dopoguerra. Valli è infatti una delle poche attrici a essere sopravvissuta alla fine del cinema fascista e a trovare uno spazio importante anche nella cinematografia italiana della seconda metà del Novecento. Nel 1942 vince il premio del Ministero della Cultura Popolare per la migliore attrice dell’anno, mentre nel 1947 il Nastro d’Argento per “Eugenia Grandet” (Mario Soldati, 1947). Non potendo più resistere al richiamo di Hollywood, si trasferisce negli Stati Uniti firmando un contratto con Selzenick che voleva farla diventare “l’Ingrid Bergman italiana”. Lavora con Hitchcock (“Il caso Paradine”), Pichel (“Il miracolo delle campane”), Reed (“Il terzo uomo”). Insofferente alle regole dello star system, recide il contratto e, pagata un’ingente penale, ritorna in Italia. Ormai Alida Valli è una donna matura, più bella e affascinante che mai.

Anche l’indiretto coinvolgimento nel caso Montesi (famoso caso di cronaca nera del ‘53) non offusca la sua luce, che diventa abbagliante in “Senso” di Luchino Visconti, la sua interpretazione più celebre. Sotto la sensibile e puntuale direzione del regista milanese, Alida dà vita al romantico personaggio della contessa Livia Serperi e del suo passionale amore per il tenente austriaco Franz Mahler (Farley Granger) durante gli anni della terza guerra di Indipendenza. La realizzazione del film fu per l’attrice un momento di rinascita. Negli anni successivi lavora con Pasolini, Bertolucci e Dario Argento. Nel 1997 riceve il Leone d’oro alla carriera. Attrice non solo cinematografica, ma anche teatrale (ha recitato Pirandello, Ibsen, Sartre, Miller) e televisiva (spesso con la direzione di Anton Giulio Majano), Alida Valli vive oggi nelle pubblicazioni e nei documentari a lei dedicati (si segnala “Alida” di Mimmo Verdesca realizzato proprio in occasione del centenario) ma soprattutto nelle sue carte e nei suoi documenti, donati fra il 2015 e il 2016 dai figli Carlo e Lorenzo al Centro Sperimentale. Documenti grazie ai quali è possibile far rivivere la libera e malinconica eleganza di uno dei volti più intensi e suggestivi del cinema italiano.

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