Ravenna: a settecento anni dalla morte di Dante, una mostra a lui dedicata nella Chiesa di San Romualdo

A settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, la città di Ravenna aggiunge una nuova tessera al fitto tessuto musivo del “secolare commento” alla Divina Commedia. Sotto la curatela di Massimo Medica nasce una raffinata operazione di rilettura critica dell’opera con una mostra trasversale che è frutto della sinergia fra il Comune ravennate e il MAR-Museo d’Arte della Città di Ravenna, con altre istituzioni del territorio emiliano.

La mostra “Dante. Gli occhi e la mente. Le Arti al tempo dell’esilio”, allestita nella Chiesa di San Romualdo, prende avvio dal classico topos letterario dell’esilio per proporre nuove  letture  del  viaggio dantesco nell’Italia del primo Trecento. Un esilio, un viaggio o forse più un Grand Tour ante litteram, in cui Dante da esule divenne discipulus nelle maggiori città  d’arte  italiane  e  conobbe  artisti di spicco come Cimabue e Giotto, Arnolfo di Cambio e  Nicola  Pisano,  Giovanni  Pisano,  Giuliano da Rimini, il Maestro della Croce. La loro presenza nella  dimensione  esodale  del  poeta  lasciò un segno così vivido da tradursi in citazioni e rimandi, specie nei canti X e XI del Purgatorio  dove Dante celebra quell’arte che si ispira alla realtà, alludendo al clima culturale del suo tempo.

La trasversalità di questa mostra risponde proprio all’esigenza di rintracciare nell’opera la componente pura di “arte” che è l’impronta delle esperienze del poeta a contatto con gli ambienti intellettuali trecenteschi. A questa ricerca corrisponde un notevole apparato di opere pittoriche e scultoree, suppellettili, gioielli e vari reperti storici concessi a Ravenna da prestigiosi musei internazionali, fra cui gli Uffizi e la Fondazione Cini di Venezia. Un corpus di manufatti che ben documenta quella sensibilità e quello Zeitgeist che Dante per vent’anni respirò nella Grande Italia dell’arte a cavallo fra Duecento e Trecento, prima di giungere a Ravenna, tappa finale del pellegrinaggio, dove morì nel 1321.

Se Giotto e ancor prima il suo maestro Cimabue, ritenuto  da  Vasari  l’iniziatore  della  pittura  moderna, furono eccezionali innovatori nel superare il classicismo bizantino e dare realismo e naturalezza alla solennità religiosa del Gotico, arrivando persino ad anticipare l’estetica rinascimentale, la loro rivoluzione si sovrappone cronologicamente e simbolicamente a quella  di Dante in ambito linguistico, che promosse il volgare fiorentino come lingua colta. Gli  occhi  e  la  mente, dunque: quelli di un poeta in esilio. E il suo esilio come lucido frammento del cammino evolutivo della Letteratura, dell’Arte e di un’Italia ascendente; ma soprattutto come rinascita dell’Uomo che, dopo secoli di buio, riportava l’intelletto e i sensi alla straordinaria bellezza del Vero.     E quindi usciva a riveder le stelle. Questo, Dante, ci racconta.

L'Autore

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Nata nel 1990, Michela si laurea in Scienze dei beni culturali e dello spettacolo alla Statale di Milano. Nel corso della vita cambia direzione più volte, senza però tradire mai l'amore persistente verso i linguaggi artistici e la carta stampata. A partire dal 2015 lavora in importanti gallerie d'arte italiane e scrive per riviste e magazine di arte e cultura; di recente è alla ricerca di nuovi stimoli e possibilità nell'ambito dell'Editoria d'arte.

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