Arte senza frontiere

5 Maggio 2022

La parola a Vincenzo Trione

Lo studioso, da sempre, è schierato per l'abbattimento dei recinti dei vari generi artistici

Appartengono alla memoria personale anche gli incontri con Vincenzo Trione, amico di parole stampate parafrasando Charlie Brown, a partire da alcuni suoi scritti su “Il Mattino” negli anni Novanta e proseguiti sulle colonne del “Corriere della Sera” (e dei magazine collegati “Io Donna” e “Sette”) nonché sulle pagine de “la Lettura”, il suo supplemento culturale che ha festeggiato di recente dieci anni. Ci rivedemmo pure a Napoli a Palazzo Reale, a metà novembre 2003, per “Anteprima”, la mostra iniziale dell’inedito e triplice assetto (Torino e quindi Roma) della XIV Quadriennale d’arte, che lo vedeva tra i cinque componenti della Commissione preposta alla scelta degli artisti, e da qui la lettura di “Arte e metropoli. The Merzcity”, il suo testo pubblicato nel catalogo De Luca. Scriveva della “necessità di ritornare a un’arte ‘narrativa’”, di “arcipelago, privo di confini precisi”, di “audaci contaminazioni” e di ampie confluenze tra le arti, ravvisando nell’attenzione alla città uno “tra i motivi privilegiati che hanno scandito lo sviluppo della storia dell’arte, a partire dall’800”, pur nel cambiamento delle sue prospettive, sino a divenire Merzcity, ovvero “un open space, in cui gli elementi naturali e quelli artificiali si legano grazie a rapporti mobili”.

FINALMENTE STA FINENDO LA STAGIONE
DELLE MOSTRE BLOCKBUSTER, DOVE SI ESPONEVANO
ARTISTI POPOLARI CON POCHE OPERE O ADDIRITTURA SENZA

Concetti, cui Trione rimarrà fedele nel tempo, sviluppandoli in pubblicazioni quali “Atlanti metafisici. Giorgio de Chirico: arte, architettura, critica” (Skira, 2005), “La forma della città. Immagini cinematografiche e scenari urbani” (Arte Tipografica, 2008), “Giorgio de Chirico. La città del silenzio: architettura, memoria, profezia” (Skira, 2009), “Mimmo Rotella. Anni di piombo (Abscondita, 2012), “Effetto città. Arte cinema modernità” (Bompiani, 2014) Premio Roma e Premio-Giuria Viareggio 2015, “Atlante dell’arte a Napoli e in Campania: 1966-2016” (Electa, 2017), “Contro le mostre” (Einaudi,
2017) scritto con Tomaso Montanari (pamphlet sulle mostre blockbuster, su taluni curatori, assessori e direttori di musei) e altre. Altre sue mostre: “I luoghi e l’anima. Mario Sironi/Costant Permeke” (Milano, Palazzo Reale, 2005), “Valencia09: Confines: pasajes de las artes contemporaneas” (Valencia, IVAM, 2009), “Post-classici. La ripresa dell’antico nell’arte contemporanea italiana” (Roma, Foro romano e Palatino, 2013) e “Codice Italia” il nostro padiglione nella Biennale di Venezia del 2015 con i 17 più 2 artisti coinvolti e la videoinstallazione “Umberto Eco, Sulla memoria”, quasi a ribadire la necessità di poter leggere nell’opera il senso della continuità, riconoscendo agli artisti la capacità di richiamarsi “alla memoria, intesa quale arsenale di tracce da ri-abitare - e da reinterpretare”, come scrive nel catalogo Marsilio.

BISOGNA PRENDERE ATTO CHE NON ESISTE PIÙ LA CRITICA CONTEMPORANEA E CHE SIAMO DI FRONTE AL DECLINO DELLA GRANDE TRADIZIONE DELLO STUDIO DELL'ARTE ITALIANA

Nello stesso anno Trione è Direttore del Dipartimento in arti e media della IULM quindi Preside della Facoltà di arti e turismo nella stessa università, per poi divenire coordinatore del Dottorato di ricerca in Visual and media studies: ambito di ricerca che “si propone quale luogo di convergenza di saperi teorici e strategie operative connessi allo studio dei media, dei linguaggi visuali e delle letterature”, e che avrebbe trovato ne “L’opera interminabile. Arte e XXI secolo” (Einaudi, 2019) Premio- Giuria Viareggio 2020, lo sviluppo del suo pensiero già espresso, costruendo una sorta di museo immaginario nel quale le opere di 15 artisti, diversi per modalità e linguaggi, confermano come la contemporaneità frammentaria e liquida, sia un territorio osmotico che consente alla pittura, alla scrittura, alla scultura, alla fotografia, al cinema, all’architettura, alla musica e al video di annullare qualsivoglia limite/recinto intersecandosi tra loro all’infinito, pur nel mantenimento delle proprie norme. Nel 2020 “Artslife” lo premia come miglior giornalista dell’anno, riconoscendogli grande autorevolezza, quella stessa esercitata anche come Presidente della Scuola dei beni e delle attività culturali e nelle molteplici iniziative istituzionali, non ultime la proposta, nell’ambito del G20 Cultura (Roma, luglio 2021), di costruire una rete internazionale impegnata nella formazione per la gestione del Patrimonio culturale, e la direzione con Valeria della Valle della nuovissima “Enciclopedia dell’Arte contemporanea Treccani” che vede la luce con quattro volumi sul finire dello scorso anno. E oggi, sempre per Einaudi, ecco l’uscita del “Artivismo” che mi spingerebbe a nuove e più ampie riflessioni ma mi limito alla conversazione che segue.

A cinque anni dalla pubblicazione per Einaudi di “Contro le mostre”, il tuo pamphlet scritto con Tomaso Montanari, e oltre il fermo causato dal Covid-19, il mostrismo ha rallentato la sua corsa?

Credo di sì. Ho l’impressione che siamo a un punto di svolta importante. Questo, dal mio punto di vista, è positivo. Sta finalmente finendo la stagione delle mostre blockbuster, in cui si ricorreva al nome facile e anche popolare, e poi si costruivano rassegne sostanzialmente senza opere o con poche opere, spesso scarti di magazzini, e con allestimenti molto pomposi. La mia impressione, viaggiando nel nostro paese, è che siamo in una fase nella quale si sta ritornando alle esposizioni serie, con prestiti importanti, degni di istituzioni anche a livello internazionale. Ne cito alcune: “Inferno”, la straordinaria mostra curata da Jean Clair alle Scuderie del Quirinale a Roma, ma anche “Realismo magico” a Palazzo Reale a Milano e “Corpus Domini” sempre a Palazzo Reale a Milano. Mostre diverse tra loro, che rappresentano in maniera chiara il bisogno del ritorno a una serietà di progetti espositivi degni di un paese veramente normale.

Perché quel muoversi tra memoria e attualità che, nel 2015 - quale curatore del nostro Padiglione alla 56. Biennale di Venezia - caratterizzò il tuo “Codice Italia”, non viene esercitato da molta critica contemporanea?
Semplice: non c’è più la critica contemporanea. Bisogna prendere atto, a parer mio doloroso, del declino della grande tradizione della critica d’arte italiana, che è indissolubilmente legato a quello della storia dell’arte. Una tradizione che parte da Longhi, da Venturi e arriva fino a Briganti, Menna, Arcangeli, Ragghianti, Argan, Barilli. Figure diverse e lontane tra loro che, tuttavia, andavano tutte nella stessa direzione, condividendo la stessa filosofia. Questo filo si è spezzato. Oggi, ci sono figure a una sola dimensione. Prevale una curatela senza memoria storica, appiattita solo sul presente, tesa a documentare quanto accade nel sistema dell’arte, più che a interpretarlo e a svelarne le radici.

Qual è il significato del “recinto” nella complessa realtà dell’arte d’oggi?
I recinti stanno lì per essere abbattuti. E i recinti tra i linguaggi non hanno alcun senso. I recinti tra i generi artistici, come ho provato a raccontare nel libro “L’opera interminabile”, occorre che vengano dissolti. Le barriere e i confini, se esistono, hanno senso soltanto per stimolare il loro abbattimento.

Non credi opportuno estendere a tutte le altre regioni italiane la catalogazione/regesto compiuta con il volume “Atlante dell’arte contemporanea a Napoli e in Campania 1966 – 2016”?
Non c’è in alcuna regione italiana un progetto storico-critico di questo tipo, in cui si sono documentati gli artisti, ma anche i galleristi, le mostre e i grandi spazi espositivi che hanno operato in Campania dal 1966 al 2016. Sarebbe auspicabile che questo modello venisse esportato altrove. Tieni conto, però, che l’Atlante da me diretto, oggi, andrebbe integrato con supporti digitali. C’è una parte di database che andrebbe approfondita.

La nuova “Enciclopedia dell’arte contemporanea Treccani”, volta a superare le centralità consolidate dell’Occidente e degli artisti, dando “spazio anche ai diversi attori della scena”, come tu stesso hai affermato, non è forse un ulteriore strumento per far comprendere la permeabilità di tutti i confini possibili?
Assolutamente sì. Costruire questo progetto è stata un’impresa quasi epica. Non esisteva un modello di Enciclopedia a livello internazionale. Abbiamo dovuto inventare un format per affrontare l’arte contemporanea. Prima parlavi di confini: l’enciclopedia li vuole abbattere. Non ci sono più confini tra gli artisti e gli altri attori che entrano nel mondo dell’arte: storici dell’arte, critici, mercanti, galleristi, dealer. Abbiamo voluto trasgredire anche le barriere geografiche. L’obiettivo dell’Enciclopedia è raccontare anche le realtà extraoccidentali, portandosi al di là di una visione occidentecentrica e superando i confini tra i linguaggi. In quest’opera in quattro volumi non c’è solo l’arte, ma c’è l’arte in dialogo con il cinema, con l’architettura, con il design, con la moda, con la grafica, con la pubblicità, con la fotografia, anche con la politica, con il diritto, con l’economia.

PREVALE LA CURATELA SENZA MEMORIA STORICA,
APPIATTITA SOLO SUL PRESENTE

Quale svolta ritieni che possa dare la Scuola dei beni e delle attività culturali, di cui sei attualmente presidente, nella sempre più impellente richiesta di nuove professionalità per la tutela e la gestione del patrimonio culturale italiano?
Nata nel 2016, la Scuola dei beni e delle attività culturali, è riuscita a ottenere un risultato storico e bisogna raccontarlo. Per la prima volta nel nostro paese (il 7 dicembre è stato pubblicato il bando sulla Gazzetta Ufficiale), la Scuola del patrimonio con la SNA - Scuola nazionale dell’amministrazione gestirà il primo concorso italiano per dirigenti di musei, biblioteche, soprintendenze, archivi riservato a persone
che abbiano conseguito il dottorato di ricerca. Una rivoluzione copernicana. Potrà entrare nuova energia vitale all’interno del sistema pubblico del patrimonio del nostro paese. La Scuola sta lavorando anche sul tema della nuove professioni. A breve, annunceremo un progetto chiamato Cluster Topics: corsi innovativi e agili su tematiche decisive ma ancora poco frequentate, rivolti a professionisti e a giovani che lavorano già nel mondo dell’arte.

Ma oggi, nell’epoca internet, qual è il ruolo dell’intellettuale?
Sono sempre stato dell’idea che l’intellettuale debba essere come la figura di cui ha parlato Erwin Panofsky in un saggio che continuo a leggere e interrogare. In questo testo illuminante, “In difesa della torre d’avorio”, Panofsky elogiava l’intellettuale capace di guardare dall’alto gli scenari del presente. Vi si legge: ”L’uomo sulla torre ha il potere di vedere, ma non quello di agire, la sola cosa che può fare è mettere in guardia”. Ecco, credo che il ruolo dell’intellettuale sia questo: mettere in guardia da quello che può accadere e che sta per accadere.

L'Autore

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Dai primissimi anni ’60 lo trovi a raccontare l’arte (molto spesso anche i suoi - dell'arte - tanti rapporti con l’esercitata scienza) e a colloquiare con gli artisti. Lecce, Bologna e Urbino i luoghi della formazione. Roma, Torino e Napoli quelli del fare. Libero e creativo, ha perso il conto dei buchi su una tela, ha rotto un bicchiere napoleon liberando la mosca prigioniera, ha vissuto il ’68 e dialogato sul concetto, ha pieno di parole un Calendario senza fine, ha dato alle fiamme cavalli di cartapesta su una pira, e… Trentacinque anni fa rammentando Minotaure ha inventato “ARTE&CRONACA”.

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