In rassegna, un centinaio di opere dai primi anni anni 2000 fino alle ultime tele monumentali della Collezione Pinault
Martial Raysse è conosciuto per il ruolo svolto nella pop art europea degli anni '60; è il dandy che giovanissimo rappresenta la Francia alla 33ma Biennale di Venezia dove vince il premio David Bright. Con grinta rivoluzionaria, reinterpreta i classici della storia dell’arte, gioca con colori acidi per immortalare il consumismo e illustrare la frivolezza di un’epoca. La sua stessa posizione radicale lo porterà, successivamente, a una critica acerba del sistema, guidandolo verso altre fonti di ispirazione.
La mostra di Sète segue le grandi retrospettive del 2014 (Pompidou, Parigi) e 2015 (Palazzo Grassi, Venezia) incentrate sull’evoluzione del lavoro dagli anni '60 in poi, con i passaggi e le rotture di stile che lo caratterizzano. Dopo gli anni '70, gira le spalle al successo internazionale, rinnega la sua storia per dedicarsi a una pittura rigorosa, dalle composizioni volutamente classiche. Utilizza la tempera per modellare corpi e visi a illustrare un racconto denso di significato vitale.
LA RICERCA LO CONDUCE NEL LABIRINTO DELLA STORIA E LO PORTA A RIAPPROPRIARSI DI TECNICHE MEDIOEVALI
Questa ricerca lo conduce nel labirinto della storia, lo porta a riappropriarsi di tecniche medioevali, inventando un mondo legato alla terra, terribilmente umano e volontariamente enigmatico.
Dice di se stesso “sono un rustico”, il che vuol dire radicato nel suolo dove vive, dove dipinge, dove la vita scorre, dove alimenta l’anima della pittura e dove tocca l’emozione. Dipinti enigmatici, questi, che richiedono un lungo tempo di osservazione per appropriarsi della complessità dell’insieme, del gioco delle prospettive e della richezza dei simboli.
A Sète scopriamo dipinti, disegni e sculture dai primi anni anni 2000 alle quattro ultime tele monumentali – due delle quali appartengono alla Collection Pinault. In rassegna, un centinaio di opere con cui intende dimostrare la capacità di reinventare la grande peinture. Per questa rassegna, Raysse ha lavorato fino a poco tempo prima dell’inaugurazione su tele immense, con la caparbietà di un uomo che a 87 anni è in grado di indirizzare le forze in un’ulteriore battaglia che risulta epica e viene vissuta come sfida al tempo e a se stesso.
“Una volta, mai più”, ha scritto sull’ultimo quadro: si tratta di concludere un momento vissuto aspramente, o allude a qualcosa di più definitivo? Raysse resta sempre e comunque enigmatico.
La tavolozza luminosa, la monumentalità, la sapiente arte compositiva si rispecchiano in opere dove le correnti antagoniste del mondo si scontrano con momenti di emozione, di vita, di morte, di allegria, di inquietudine. Narrano un racconto strano, fatto di intrecci inaspettati fra tempo e luogo, situazioni e sentimenti, storia e presente, fondati su riferimenti colti, quasi magici, legati agli oggetti, alla natura, agli esseri umani. Offre, così, allo spettatore riflessioni sul passato, sul potere dell’arte, sul ruolo dell’artista o sulle limitazioni della società. Rendere il mondo intelligibile con la giustezza della forma, l’emozione del colore e l’immensità del gesto pittorico: ecco le armi di Raysse per tenere accesa, pur nella consapevolezza di essere uno degli ultimi, la fiamma della grande pittura.