Penck: penso primitivo

17 Febbraio 2022

In rassegna 40 dipinti di grandi dimensioni, 20 sculture, opere su carta e libri d’artista permettono di comprendere la complessità della sua pittura

Penck è uno di quegli artisti per cui citare i principali elementi biografici diventa indispensabile per comprenderne stile e poetica. Nato Ralf Winkler a Dresda nel 1939, a 6 anni assiste all’apocalittico bombardamento della sua città – divenuto spunto narrativo per il romanzo di Kurt Vonnegut, “Mattatoio N 5” – a 10 anni inizia a dipingere, a 14 afferma con sicurezza la volontà di diventare artista e a 22 assiste alla costruzione del Muro di Berlino. Come illustra palesemente questa mostra a Mendrisio, Penck non ha molto in comune con il realismo socialista di stampo sovietico che dominava le varie discipline artistiche durante la guerra fredda. Piuttosto a lasciare traccia nella sua fantasia sono state sicuramente le visite ai musei come quello Etnologico di Dresda fondato nel 1875 in piena epoca coloniale, con opere e reperti “primitivi” provenienti da tutto il mondo, in cui si ritrovavano frequentemente a partire dal 1905 i membri del movimento Die Brücke di Kirchner, Nolde e Pechstein, che dettero avvio nella città della Sassonia, al movimento espressionista, in concomitanza con i colleghi transalpini dei fauves.

LA PASSIONE PER L'ARTE PRIMITIVA LO PORTA A STUDIARE LA PREISTORIA OLTRE CHE LA FILOSOFIA, LA CIBERNETICA, LA STORIA DELLE RELIGIONI, LA SCIENZA E LA MUSICA

La passione per l’arte primitiva, testimoniata dai suoi accurati studi sulla preistoria, oltre a quelli di filosofia, cibernetica, storia delle religioni, scienze e musica, traspaiono perfettamente nell’espressionismo che caratterizza i 40 dipinti di grandi dimensioni, le 20 sculture in vari materiali, che spaziano dal legno al bronzo al cartone e al feltro (tanto caro al connazionale Beuys), le oltre 70 opere su carta, libri d’artista e i preziosi quaderni esposti secondo un rigoroso criterio scientifico. Questo percorso permette al visitatore di comprendere il ricco e articolato paradigma di principi e regole che presiedevano al suo stile e le finalità della sua poetica, quel complesso che l’artista definiva “standart” e da cui la mostra prende avvio.

NATO A DRESDA NEL '39, A 6 ANNI ASSISTE
ALL'APOCALITTICO BOMBARDAMENTO DELLA SUA CITTÀ

Penck, come illustrano gli apparati didattico-divulgativi della retrospettiva, intendeva creare un’immagine-concetto, con cui la pittura, il disegno e la scultura diventavano strumenti per analizzare la civiltà contemporanea e l’esistenza umana nella loro complessa articolazione. Immagini-concetto che fungono da amplificatori per diffondere le sue convinzioni politiche e ideologiche. Il nucleo principale dell’esposizione si concentra maggiormente sul Penck “occidentale”, dopo la fuga dalla Germania dell’est del 1980, quando il suo apparato cromatico diventa più ampio e aggressivo, la spazialità più articolata, le campiture più vibranti e i richiami al primitivismo delle avanguardie artistiche tedesche (Die Brücke di Dresda in primis) si fanno più nitide.

DOPO LA FUGA DALLA GERMANIA DELL'EST NEL 1980, IL SUO APPARATO CROMATICO DIVENTA PIÙ AMPIO, AGGRESSIVO E LE CAMPITURE SI FANNO PIÙ VIBRANTI

È proprio negli anni ‘80 che l’opera di Penck riceve la definitiva consacrazione, sull’onda del cosiddetto (ennesimo) “ritorno alla pittura” che caratterizza il decennio edonista e lo vede esporre a fianco dei nostri paladini della transavanguardia e dei neoespressionisti americani oltre che dei suoi connazionali come Kiefer, Richter, Baselitz, Lüpertz, Immerdorf, divenendo al loro pari, simbolo della nuova identità della Germania post- nazista e dell’opposizione alla guerra fredda. Opera meritoria quella condotta dal museo italofono, visto che fino a questo momento gli apparati e gli studi sull’artista erano principalmente in lingua tedesca.

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