Da “Contemporanea” del 1973 alla attuale presidenza della Fondazione Burri: l’illuminante incontro con Bruno Corà

L’arte come destino

Ritrovarsi tra le mani, in questo tempo sospeso legato al Covid-19, il catalogo di “Contemporanea”, la rassegna dell’Associazione “Incontri internazionali d’arte” fondata da Graziella Lonardi Bontempo tenutasi dal novembre 1973 al febbraio 1974 nel Parcheggio di Villa Borghese a Roma, mi sollecita una serie di riflessioni, tra il personale e non. La prima sulla complessità dell’evento da intendersi quale la logica conclusione di quella vivacità espositiva che tra il 1968 e il 1973 attraversò l’Italia da nord a sud, concretizzando quasi, con una sequenza di mostre da “Arte Povera + Azioni Povere” nell’Arsenale dell’Antica Repubblica di Amalfi (1968) a “Combattimento per un’immagine. Fotografi e Pittori” nella Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino (1973/1974), lo slogan “l’immaginazione al potere”, un claim di protesta/utopia/certezza oltre che di parigina memoria e di marcusiana adesione.  

Docente, direttore di musei, curatore, editore di riviste culturali: riviviamo il percorso di una delle figure più influenti dell'arte contemporanea

Riconoscendo alla mostra/evento il triplice status di ricognizione/ verifica/proposta, da cui far ri/emergere una nuova dimensione estetica e creativa. Come in realtà appare anche dalle parole della stessa Lonardi Buontempo: “Contemporanea non rispecchia un bilancio storico assoluto delle tematiche che ospita, ma un esame di linee e di modi tra loro connessi all’interno delle tematiche stesse”. Quelle manifestate, appunto, in “Aperta” e nelle nove sezioni per dodici curatori, tra i quali Bruno Corà per l’Informazione alternativa in una con Leietta Gervasio e Paolo Medori. Fu quello, probabilmente, il mio primo incontro con Bruno Corà, replicato poi nel corso degli anni in un infittirsi di geografie, di immagini e di nomi. E così, al critico dal plurimo esercizio curatoriale e direzionale ed oggi Presidente della Fondazione Burri mi piace porre sette domande, partendo proprio dal ricordo di “Contemporanea”.

Da “Contemporanea”, l’iniziativa che ti vide accanto al suo ideatore Achille Bonito Oliva quale curatore della sezione “Informazione alternativa”, cosa è cambiato nel mondo dell’arte?
Mi è molto gradita la tua domanda perché mi permette di fare luce su quell’importante evento. L’ideazione di “Contemporanea” giunge al culmine di un triennio di attività svolto a Roma e altrove dagli “Incontri internazionali d’arte” che avevo contribuito in parte rilevante a organizzare e coordinare. Quell’evento interdisciplinare non fu il parto solitario di Achille Bonito Oliva, come afferma la vulgata, ma l’esito di una più complessa elaborazione che coinvolse noi tre, Graziella Lonardi, Achille Bonito Oliva e il sottoscritto, nonché la consultazione di altri soggetti nell’intento addirittura di affidare a taluni di loro il progetto e il coordinamento dell’iniziativa che avevamo prefigurato insieme a grandi linee. In tal senso è opportuno rendere noto, a onor del vero, che furono interpellati per un eventuale incarico sia Germano Celant, allora critico freelance responsabile di International Documentation Archives a Genova, sia Gianenzo Sperone, con entrambi i quali, per ragioni diverse, non si riuscì ad affidare loro l’intera impresa. A quel punto si decise di procedere tra noi e di chiamare a curare le varie sezioni che avevamo prefigurato per l’evento una serie di personaggi in grado di teorizzare l’ambito affidato, compiere le scelte, garantire la qualità della sezione della mostra, invitandoli a coordinarsi con noi.  Achille Bonito Oliva si ascrisse la Sezione Arte ed io quella dell’Informazione Alternativa e Controinformazione - alla quale lavorai con Leietta Gervasio e Paolo Medori - che ebbe un ruolo di forte dinamismo nell’intera manifestazione, coinvolgendo Umberto Eco, Pio Baldelli, Franco e Franca Basaglia, Adele Cambria, William Haywood, Gianni Emilio Simonetti, Ugo Volli, Giovanbattista Zarzoli ed altri con saggi, contributi e interventi. I curatori delle sezioni furono contattati facendo leva su relazioni individuali. Ad esempio Mario Diacono accettò l’invito a curare la Sezione di Poesia Visiva su mia specifica insistenza. Peraltro lo stesso ambiente del parcheggio sotterraneo di Villa Borghese come sede della mostra fu un’idea maturata in una mattinata in cui Graziella ed io, in auto, visitammo prima il parcheggio sotterraneo di via Ludovisi, una traversa vicina a via Veneto a Roma, che tuttavia valutammo insufficiente a ospitare il progetto e successivamente facemmo un sopralluogo nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese, realizzato dalle Condotte d’Acqua, che era completamente vuoto e stentava ad essere fruito. Fu nell’osservazione di quei diecimila metri quadrati vuoti e coperti che decidemmo all’istante che quello era il posto giusto. Questo tipo di scelte non possono essere considerate soluzioni solo organizzative ma, in gran parte, hanno concorso in modo efficace al successo dell’evento. Dopo questa necessaria precisazione “storica” che chiarisce un equivoco malinteso alla base della frattura dei rapporti tra noi e della mia decisione di abbandonare la collaborazione con gli Incontri e con Bonito Oliva, venendo al fondo della tua domanda, i cambiamenti sono stati molti. Ma sono talmente tanti che richiederebbero uno studio specifico sugli avvenimenti accaduti dopo.

Ma di “Contemporanea”, cosa rimane oggi?
Dal punto di vista dei materiali, una certa quantità di documenti in parte conservati nel mio archivio, in parte nell’archivio degli “Incontri internazionali d’arte”, custodito al MAXXI di Roma insieme alla memoria di Graziella Lonardi o comunque a suo nome; dal punto di vista socioculturale, invece, la consapevolezza apparente di alcuni giovani (non solo le Sardine, non solo Greta Thunberg e i giovani ecologisti di mezzo mondo) che la cultura, la libertà e i diritti civili sono beni che devono essere salvaguardati giorno dopo giorno con l’impegno e la passione individuale. Lo stesso vale per noi che siamo ormai anziani. “Contemporanea” suggerisce che la realtà va colta e letta nella sua complessità prismatica e nelle sue contraddizioni senza stancarsi; inoltre, che l’arte non è una monadologia.

Critico d’arte, curatore e direttore di museo. Tre aspetti dello stesso ruolo, o altro?
La mia attività critica ha avuto inizio quando, lasciata Roma nel 1966, mi sono recato a Milano per iniziare a dare avvio all’attività di scrittura. Ospite di un amico pittore, Giangiacomo Spadari, ho trovato lavoro presso la Libreria Einaudi diretta da Aldrovandi, cognato di Giulio Einaudi, dove quotidianamente collaborava anche Elio Vittorini e poi Ugo, suo fratello. La libreria mi dava uno stipendio per sopravvivere, mi consentiva di leggere ogni cosa e soprattutto facilitava l’incontro con l’ambiente artistico letterario di Milano: Eugenio Montale, Umberto Eco, Ernesto Rogers, Daniela Palazzoli, Emilio Isgrò, Giangiacomo Feltrinelli e molti altri che orbitavano attorno a quella libreria di via Manzoni, oggi scomparsa. Facevo vita comune anche con i pittori amici, pur non pensando di scrivere per il loro lavoro, poiché avevo appreso dai loro discorsi una generale disistima verso l’ambiente critico. Ma dopo un anno, tornato a Roma, per vivere e mantenermi continuai a lavorare nella libreria Bocca dove, insieme all’amico poeta Elio Pecora, avemmo incontri con scrittori come Palazzeschi, Moravia, Pasolini, Morante, registi cinematografici come Fellini, Visconti, Antonioni, De Sica, Magni, De Santis, Damiani, Bolognini, attori come Sordi, Magnani, Ingrid Thulin, Silvana Mangano, Orson Welles e pittori come de Chirico, Cagli, Mirko, Guttuso, Levi, Turcato, Accardi, Scialoia, Clerici, Vespignani, Marotta e Fabio Mauri. Nel 1970 Claudio Bruni Sakraischik, della Galleria La Medusa, mi presentò Graziella Lonardi Buontempo che mi invitò a collaborare con lei per creare gli “Incontri internazionali d’arte” in Roma. Accettai e iniziammo a lavorare in piena estate affittando un appartamento in via di Ripetta sopra la Libreria Ferro di Cavallo. Nel ‘78-’79 vinsi il concorso per una cattedra di Storia dell’arte presso l’Accademia di belle arti di Perugia e successivamente, nel 1995, venni invitato a dirigere il Museo d’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. Le tre attività di docenza, curatela e direzione artistica in tal modo si integrarono. Prima del Museo Pecci mi sono occupato per alcuni anni dell’attività di Palazzo Fabroni a Pistoia insieme a Chiara D’Afflitto. Il lavoro compiuto insieme negli anni ‘90 si concluse con la realizzazione del grande progetto dell’Area metropolitana Firenze – Prato – Pistoia che avrebbe dovuto avere esito con l’inaugurazione dell’Ex Meccanotessile di Firenze quale museo d’arte contemporanea della città capoluogo della Toscana che, tuttavia, alla fine rinunciò ingloriosamente a tale ambizione.

Altro, come nel caso dei ventidue numeri di “Anoir, Eblanc, Irouge, Uvert, Obleu”, la rivista da te fondata con tua moglie Liana e l’Editrice Inonia e diretta dal 1980 al 1987. Cosa rimane di questa esperienza?
La fondazione di AEIUO, rivista all’insegna della letteratura poetica e dell’arte, come volevano le Voyelles di Rimbaud, fu una straordinaria esperienza a raggio internazionale che, come un “tappeto volante” ci proiettò in mezzo mondo, influendo perfino sulla nascita di altri periodici, come ad esempio “Parkett”, la rivista svizzera che, a detta di Bice Curiger, sua direttrice, nacque sotto la spinta del nostro lavoro. Dopo alcuni anni dalla conclusione di quell’esperienza, avviammo l’altra rivista, “Mozart”, che proseguiva nel conseguimento degli stessi obiettivi, ma i tempi intanto erano cambiati e anche la scena artistica era mutata. Furono comunque due iniziative che rendevano protagonista l’integrità poetica degli artisti e degli autori, liberi da ogni diktat della finanziarizzazione dell’arte e del mondo accademico.

Quale è stato, e qual è il tuo rapporto con gli artisti?
Quello con gli artisti è stato ed è un rapporto di complicità e di condivisione di percorso dichiarato con taluni, con altri di rispettosa considerazione, priva però di un percorso comune. D’altronde un’azione critica senza scelte sarebbe equivoca.

lazzo Fabroni arti visive contemporanee di Pistoia, il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, il Camec di La Spezia, il Museo d’arte moderna e contemporanea di Lugano, il Camusac di Cassino, questi alcuni momenti di una bella storia personale. Cosa vuol dire essere il direttore di un museo?
Ogni volta la direzione di un museo si deve confrontare con le realtà sociali, economiche, produttive e culturali di una città, di un territorio, di una storia relativa ad esso e del più ampio disegno della realtà artistica nazionale e internazionale. La responsabilità sta nel non tradire le aspettative dei committenti ma nemmeno il destino delle vocazioni artistiche con cui si decide di elaborare programmi e attività collaterali. Il museo deve registrare i fenomeni autentici nella loro apparizione o sancire storie che lo richiedano. È sempre una meta qualificata, una sede di riconoscimento pubblico. In parte può compiere azioni di apertura promotrice ma non può sostituirsi al lavoro delle gallerie d’arte, o simili. Non può essere una prateria né un cimitero. Il museo può avere un ruolo di segnalazione di importanti fenomeni artistici ed estetici, fornendo al pubblico strumenti di crescita culturale ed esempi su cui esercitare tale attività; ma deve altresì mantenere integra la propria autonomia scientifica e favorire la conoscenza del lavoro artistico.

Ed ora, la Presidenza della Fondazione Burri. Quali le iniziative del tuo mandato e quali i progetti per il futuro?
L’esperienza presso la Fondazione Burri si può definire parte di un destino, per quanti sono gli episodi che dovrei elencare, avvenuti nel corso degli anni, che mi hanno condotto a Città di Castello. Le iniziative intraprese sono state molte, culminate nel 2015 con la celebrazione del “Centenario della nascita di Burri”, vent’anni dopo la sua morte (1995) ma che si è esteso e sviluppato nel corso di oltre tre anni. Abbiamo promosso mostre antologiche al Guggenheim di New York, al Kunstmuseum di Düsseldorf, abbiamo realizzato opere interrotte come il Grande Cretto di Gibellina o il rifacimento del distrutto Teatro Continuo nel Parco Sempione di Milano in collaborazione con importanti enti della città (Comune, Triennale d’Arte, NCTM Studio Legale Associato, etc..), mostre a Venezia, Pistoia, Cosenza, Sansepolcro, Città di Castello e la straordinaria convocazione di un parlamento dell’arte con Rendez-vous des amis, conferenza di 66 artisti internazionali e decine di storici dell’arte e direttori di musei invitati a fare il punto sulla fase culturale immediatamente precedente quella segnata dalla attuale tragedia causata dal Covid 19. Ma non stiamo fermi. Quest’anno saranno dedicati a Burri due grandi eventi internazionali: uno in Russia e l’altro in Italia. Per saperne di più basta tenersi informati visitando il sito della Fondazione dove prestissimo li annunceremo e certamente avremo occasione di riparlarne. 

L'Autore

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Dai primissimi anni ’60 lo trovi a raccontare l’arte (molto spesso anche i suoi - dell'arte - tanti rapporti con l’esercitata scienza) e a colloquiare con gli artisti. Lecce, Bologna e Urbino i luoghi della formazione. Roma, Torino e Napoli quelli del fare. Libero e creativo, ha perso il conto dei buchi su una tela, ha rotto un bicchiere napoleon liberando la mosca prigioniera, ha vissuto il ’68 e dialogato sul concetto, ha pieno di parole un Calendario senza fine, ha dato alle fiamme cavalli di cartapesta su una pira, e… Trentacinque anni fa rammentando Minotaure ha inventato “ARTE&CRONACA”.

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