Una vita pensando al futuro - Incontro con Giuseppe Appella, filosofo, critico, responsabile di gallerie e musei

22 Febbraio 2024

Nel giugno 1978, il legame con Franco Palumbo e gli amici de La Scaletta oltre che con Pietro Consagra (a far data dalle sette sculture/labirinto di “Trama” nella Biennale di Venezia del 1972) mi riportava nella Città dei sassi (Matera) per la mostra curata da Giuseppe Appella. Lo avevo incontrato nei miei anni romani per gallerie e su “La Fiera Letteraria” e lo rammento ancora nella casa di Corso Vittorio Emanuele II straripante di libri, volumi, cataloghi e documenti. Lucano di nascita, ma romano da sempre, Appella è una sorta di concentrato di energia pura, tante sono state e sono le sue attività: studioso, docente, filosofo, ricercatore, giornalista, critico, curatore, responsabile di gallerie e musei e, ora, coordinatore del Sistema museale ACAMMM.

Direttore delle Edizioni della Cometa nel 1979 e de “Il Millennio” fondato da Leonardo Sinisgalli nel 1980, lega il suo nome alle 26 edizioni delle “Grandi mostre nei sassi” (Fausto Melotti, Arturo Martini, Eliseo Mattiacci, Hidetoshi Nagasawa, Giuseppe Uncini, Gilberto Zorio, Alberto Viani, Leoncillo, Mirko, Consagra, etc.). Dal 2006 al 2014 dirige il MUSMA, Museo della scultura contemporanea di Matera, sollecitando donazioni e comodati; nel 2011 fa nascere a Castronuovo Sant’Andrea il M.I.G., Museo internazionale della grafica.

All’amico critico e accademico di San Luca, curatore instancabile di rassegne (Scipione, Fausto Pirandello, Hans Hartung, Leo Longanesi, Giuseppe Uncini, ed altri), di volumi (“Maestri, amici. Arte e artisti del Novecento”, “Pasolini e Matera. Il racconto della mostra” con Marta Ragozzino, “Carlo Belli e il Mediterraneo”, “i Bulla. Editori stampatori d’arte tra XIX e XXI secolo”, etc.), oltre che autore di cataloghi generali (Achille Perilli, Guido Strazza, Antonietta Raphael, Alberto Giaquinto, Antonio Sanfilippo, Arnoldo Ciarrocchi) che ho distolto, per un attimo, dall’impegno su quello di Toti Scialoja, ho rivolto alcune domande.

Quando nasce la tua attenzione nei confronti dell’arte?

Potrei dire fin da ragazzo, come una sorta di vocazione. Ho visto la mia prima mostra a Potenza, quando frequentavo le scuole medie. Sono entrato in una sala dove erano esposte le opere di Michele Giocoli (1903-1989, ho scoperto in seguito le sue partecipazioni alla Biennale di Venezia, il contratto con la Galleria Barbaroux di Milano, gli echi, portati al Sud, dell’espressionismo, della Scuola Romana, di “Corrente” e di quanto accadeva in Europa). Subito dopo, a Roma - dove sono arrivato nel 1953 - Picasso, alla Galleria nazionale d’arte moderna, ha acceso la passione. Conservo ancora il catalogo con una dedica. Senza saperlo, cercavo il contatto diretto con gli artisti. La curiosità, che è alla base della passione, e i tanti chilometri nei musei hanno fatto il resto.

E quali gli sviluppi nel tempo e nei modi?

Da una finestra della casa dove abitavo e che, guarda caso, era di fronte allo studio di Antonietta Raphaël, vedevo una grande scultura, La fuga da Sodoma. Un giorno, sono salito verso quello studio e mi sono imbattuto in una donna piccola e già anziana, dai capelli ricci, vestita con una tuta da lavoro. Ho chiesto notizia di quella scultura e la risposta è stata secca: “È mia”. Facile immaginare l’invito a entrare nello studio, la richiesta di informazioni al giovane studente quale ero e l’amicizia che ne seguì, allargata subito a Mafai, De Libero, Falqui, Sinisgalli, Vigolo, parte della scuola romana, e a quanti ne avevano ricevuto stimoli. I buoni incontri e i maestri-amici hanno, dunque, segnato un lungo percorso tra linguaggi diversi, ma sempre rivolti al futuro. Da Raphaël-Mafai, al quale si aggiunge immediatamente Scipione, muove poi l’interesse per gli artisti più vicini all’Europa (Melli, Bartoli, Bartolini, Maccari, Pirandello, Gentilini, Savelli, Afro, Turcato, Scialoja, Ciarrocchi, Sanfilippo, Perilli), per gli scultori che mi spingevano a ricerche e approfondimenti (Cambellotti, Martini, Melotti, Viani, Dino e Mirko Basaldella, Fazzini, Leoncillo, Andrea Cascella, Consagra, Somaini). Nel frattempo, i viaggi all’estero, dapprima in Europa e poi in America, determinavano i contatti con artisti legati all’Italia (Hartung, Richter, Matta, Hare, Kolibal, Lassaw, Azuma, Assadour), pronti a esaltare la mai sopita passione per la grafica, legata inevitabilmente alla letteratura.

La sede romana della galleria francese Rive Gauche, lo Studio internazionale d’arte grafica L’Arco e le sue edizioni e la galleria Il Millennio, ovvero la persistenza di un esercizio o qualcosa di più?

Ogni cosa di cui mi sono occupato doveva ampliare le mie conoscenze e permettermi di studiare a fondo, sul campo, l’opera d’arte. La Rive Gauche seguiva Dubuffet, Jorn, Bradley, Corneille e Lingstrom, ma anche i surrealisti e gli italiani Baj, Gentilini, Spacal, Mascherini. La grafica era al centro di una attività molto intensa. Sviluppata anche nella sede romana di via Margutta, dove ero diventato di casa proprio perché erano tornate a vivere le edizioni Castelli che, dai primi anni ’50 avevano ridato vigore al confronto artista-stampatore. A pochi passi dalla Rive Gauche operava, infatti, un grande litografo come Roberto Bulla. Il Millennio, fondata da Leonardo Sinisgalli, del quale mi sono occupato per alcuni anni dopo la sua scomparsa, su sue precise indicazioni, mi ha permesso di dare spazio a Melotti trasferitosi a Roma, a tutti gli artisti di Forma (Consagra, Dorazio, Accardi, Sanfilippo, Perilli, Turcato) ma anche a Del Pezzo e a Verna, a Giulia Napoleone e a Rotella. L’Arco, invece, durato 25 anni, metteva insieme, attraverso centinaia di mostre, l’opera grafica completa dei maggiori artisti del mondo impegnati in un rapporto non casuale con gli stampatori e gli editori europei e americani (da Picasso a Braque, Fautrier, de Staël, Zadkine, Arp, Richter, Duchamp, Goetz, Bram Van Velde, Appel, Clavé, Verna, Ginna, Music, Alechinsky, Manessier, Messagier, Dine, Hochney, ecc. compresi i giovani di talento che apparivano sulla scena internazionale). Una palestra insostituibile che evidenzia ancor di più la crisi che oggi attraversa il rapporto parola-immagine espresso attraverso la litografia, l’incisione, la serigrafia, il carborundum e così via. Questo rapporto ha prodotto libri d’artista esemplari e fissato una grande collaborazione con Vanni Scheiwiller che sarà guida e compagno di cordata nell’ambito delle Edizioni della Cometa.

Cosa vuol dire dirigere dal 1979 Le Edizioni della Cometa fondate da Libero de Libero?

Vivere un’esperienza unica, pubblicare 12 libri all’anno, spesso di autori già legati a de Libero e al mondo della Galleria della Cometa, ma anche a Carlo Belli, Giuseppe Ungaretti, Alfonso Gatto, Tito Balestra, Pier Paolo Pasolini, un occhio ai maestri e l’altro ai giovani di talento (Biancamaria Frabotta). L’interesse, come sempre, era quello di costruire il libro, vederlo nascere e crescere, dal di dentro, inseguendo l’esempio di Leo Longanesi, altra passione divorante testimoniata da una grande mostra a Palazzo Reale di Milano nel 1997.

Le “Grandi mostre di scultura nei sassi” e il Musma a Matera, il MIG di Castronuovo Sant’Andrea e oggi il Sistema museale ACAMM: quattro momenti dell’amore per la terra natìa o la misura del proprio impegno civile?

Le “Grandi mostre nei sassi” e la creazione del Musma, che segnano oltre mezzo secolo di impegno a Matera, miravano a fare della città un riferimento culturale per tutto il meridione, preservando un unicum come i Sassi, da difendere attraverso l’arte (la mostra di Consagra, nel 1978, era stata costruita ad hoc) e non da dare in pasto ai turisti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Un totale fallimento. Il Polo museale di Castronuovo nasce intorno alla Biblioteca comunale intestata a mio padre e da un suo insegnamento, non dissimile dal pensiero di Cesare Brandi: quanto si è raggiunto nella propria vita bisogna restituirlo al proprio paese d’origine. La restituzione, tuttavia, si lega alla necessità di far capire che non esistono più periferie culturali e che i nostri paesi possono essere il centro del mondo, solo che si mettano insieme, guardino sempre alle competenze e non agli opportunismi, non sprechino energie nei soliti campanilismi ed evitino l’autoreferenzialità.

Qual è, e quale dovrebbe essere, il ruolo della politica nel settore culturale?

Il suo ruolo resta fondamentale, a livello comunale, regionale e nazionale, sempre tenendo presente che la politica riguarda tutti noi, la società cui apparteniamo, non unicamente i tanti che ne hanno fatto una professione. I Ministeri della cultura e della pubblica istruzione, gli Assessorati alla cultura delle regioni e degli stessi comuni, sono i capisaldi di una nazione se questa guarda al futuro e crede nella democrazia. Il bisogno della cultura deve sempre corrispondere a una buona amministrazione della stessa e questo è possibile solo se la politica s’incrocia con la vita e con quelli che noi chiamiamo addetti ai lavori. Ma quanti, tra ministri e assessori, sono addetti ai lavori o, svolgendo il loro impegnativo compito politico, si affidano a chi ne sa più di loro?

Dove va l’arte contemporanea italiana?

In un mondo globalizzato, dove l’arte è diventata un bene rifugio ed è mossa come un’azione in borsa, si può parlare di un’arte contemporanea italiana, distinta da quella europea, americana, africana, cinese e così via, queste ultime ormai ai vertici delle nuove scoperte? Viviamo il mondo, ogni giorno, attraverso il nostro cellulare, assimiliamo immagini sempre nuove senza riuscire, spesso, a sottrarci a questo bombardamento continuo. Eppure, il grande passato dell’Italia, le bellezze conservate nei musei, nelle chiese, nei borghi, continuano a nutrire i nostri giovani artisti e li aiutano a preavvertire, spesso prima degli altri, con decenni di anticipo, il tempo che verrà.

L'Autore

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Dai primissimi anni ’60 lo trovi a raccontare l’arte (molto spesso anche i suoi - dell'arte - tanti rapporti con l’esercitata scienza) e a colloquiare con gli artisti. Lecce, Bologna e Urbino i luoghi della formazione. Roma, Torino e Napoli quelli del fare. Libero e creativo, ha perso il conto dei buchi su una tela, ha rotto un bicchiere napoleon liberando la mosca prigioniera, ha vissuto il ’68 e dialogato sul concetto, ha pieno di parole un Calendario senza fine, ha dato alle fiamme cavalli di cartapesta su una pira, e… Trentacinque anni fa rammentando Minotaure ha inventato “ARTE&CRONACA”.

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