Occhio a Retro E Didascalie

Il fascino dell’invisibile regna ancora sovrano. Spesso, osservando il retro di un’opera d’arte, scopri inaspettatamente una mappa geografica, fatta di cartigli, di numeri di archiviazioni, di mostre, timbri ed esposizioni. Uno scenario che, paradossalmente, corre il rischio di essere più importante del dipinto stesso. Perché il pedigree, soprattutto in tempi confusi come i nostri, ricchi di brogli e falsificazioni, delinea il percorso dell’opera, i suoi trasferimenti, le sue esposizioni principali, i passaggi in asta, i risultati raggiunti e, conseguenzialmente, l’autenticità. Non tutti ci fanno caso o, forse, non si presta sempre la debita attenzione. Il credo collezionistico, spesso, si ferma alla foto autenticata dalla galleria, dalla casa d’aste, dal cosiddetto esperto. Raramente si prova a rintracciarla su una pubblicazione. Molte volte non si va oltre. Ma il retro di un’opera segna, inevitabilmente, il suo vissuto e riveste un’importanza fondamentale, come qualsiasi documento di accompagnamento che ne certifichi l’identità.

Succede così anche nella fotografia, dove il tema è ancor più rilevante. Autore della foto, titolo, tipo di stampa, tiratura rappresentano requisiti fondamentali, spesso imprescindibili. Tutto viene osservato in maniera quasi maniacale, stando attenti alla veridicità dei timbri, all’ingiallimento dell’immagine, a qualsiasi traccia di identificazione. Modulando un diverso approccio tra antico e moderno, attenti a ogni replica impropria, magari non autorizzata dal fotografo stesso. Un collezionismo attento, profondo che non si ferma mai alla prima stazione. Poi, nel mare dell’assenza di qualsiasi traccia identificativa, dominano milioni di foto anonime. Talvolta, belle, indubbiamente accattivanti, sicuramente in grado di accendere un’emozione ma acquistabili per poche decine di euro, perché un curriculum, come nella vita, ha un suo valore.

Ma c’è un altro aspetto che va approfondito e meditato. E riguarda, alla resa dei conti, qualsiasi foto, anche quelle familiari. Per un secolo, non si è mai pensato alla didascalia. Il valore della foto era tutto nella sua riproduzione. Magari, all’inizio, perimetrata da un cartoncino cabinet, con i riferimenti di un fotografo più o meno illustre. Poi, nel tempo, senza più orpelli, offerta all’attenzione di chi guarda con la semplicità della sua presenza. Da qui, spesso, l’assenza di qualsiasi indicazione sull’anno, il luogo, il soggetto rappresentato. Un retro assolutamente bianco che sarà quasi impossibile arricchire di contenuti, ormai cancellati dalla polvere del tempo. A stento, forse, qualche parente più anziano potrà ricostruire il frammento di qualche ricordo ma, in molti casi, è materia già sconfinata nell’oblio.

Oggettivamente, senza didascalia, richiamando una vecchia pubblicità, è, praticamente, una foto che non c’è, destinata a non sollevare interessi, a essere confinata nel cono d’ombra del passato. Bisognerebbe istruire le nuove generazioni al culto della didascalia. È l’unico modo per trattenere sulla risacca del tempo quella tessera di memoria. L’unica ancora di salvataggio che può dare a quell’immagine una parvenza di vita. Come se il tempo si fosse fermato nel rettangolo di quell’immagine.

L'Autore

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Custodisce mille interessi. Giornalista, saggista, medico chirurgo plurispecialista, ma soprattutto napoletano, il mestiere forse più difficile e complesso. Ama la vivacità culturale, le tesi in penombra, la scrittura raffinata e ribelle. Ma ama anche la genialità del calcio e la creatività dell’arte. Crea le sue rubriche settimanali su alcuni quotidiani nazionali muovendosi sul pentagramma del costume, dei new-media, della cronaca. È stato più volte senatore e parlamentare della Repubblica perché era affascinato da quella battaglia delle idee che oggi sembra, apparentemente, scolorirsi.

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