Artista di levatura internazionale, si è conquistato la stima di critici del calibro di Calvesi, Carluccio, Crispolti, Parmiggiani, Vallora
Piero Ruggeri (Torino, 1930-2009), tra i maggiori artisti informali della sua generazione, ha saputo rinnovare il linguaggio della pittura italiana attraverso una gestualità caratterizzata da un’intensa profondità di valori espressivi e cromatici.
Formatosi all’Accademia Albertina di Torino, si inserisce nell’ambiente culturale della città. Partecipa a tre edizioni di “Francia-Italia”, collettiva a quel tempo di grande rilievo, e stringe rapporti di affinità con il critico Luigi Carluccio. Partecipa inoltre alle Biennali veneziane del 1955, 1957 e 1959 e, nel 1962, presentato da Guido Ballo, otterrà una sala personale all’importante manifestazione. Negli anni ‘50 e ‘60 del ‘900, Ruggeri è presente nel 1963 alla prima grande sistemazione dell’informale italiano, condotta da Maurizio Calvesi in occasione del VII Premio Modigliani a Livorno.
Partecipa alle Biennali veneziane del 1955, 1957, 1959 e nel 1962 con una personale
Nel corso del tempo, ha sperimentato varie direzioni del suo percorso di ricerca, inizialmente orientato verso il controllo sottile degli elementi. Il suo gesto non ha mai subito il rabdomantico impeto dell’Action Painting o, tantomeno, del puro automatismo, con il risultato di elaborati mai casuali. Nel distacco da certi eccessi dell’informale francese e dell’espressionismo astratto americano, l’artista ha perseguito una strada originale, evocando per esempio suggestioni paesaggistiche, o connotando lo spazio pittorico e il colore (i rossi, le terre, i neri) di sotterranei percorsi e febbrili rivolgimenti. Anche il suo lavoro più recente – stimato tra gli altri da Enrico Crispolti, Marco Vallora, Sandro Parmiggiani e Marco Goldin e sostenuto in molteplici occasioni espositive dai fratelli Lucchetta del Gruppo Euromobil – ha saputo qualificarsi di quel rigore per la pittura intesa nell’accezione morale più elevata e coerente di scoperta, di indagine e, perché no, di fatica, evitando pertanto la trappola dell’autocompiacimento e della ripetizione.
Nelle sue tele, accese di rossi, terre e neri, si individuano percorsi sotterranei e rivolgimenti febbrili.
Come ha scritto Sandro Parmiggiani in conclusione al suo testo per la grande antologica di Palazzo Magnani a Reggio Emilia, “Piero Ruggeri ha saputo resistere e restare fedele alla sua vocazione, contribuendo a dare corpo, con la sua opera, a un’identità, quella della pittura italiana, che si rivela assai più ricca e variegata, importante e universale, di quanto molti abbiano tentato di farci credere”.
Intende la sua arte come una continua scoperta, evitando così la trappola dell’autocompiacimento