Di Nicola Dalle Mura. Arnaldo Pomodoro ci ha lasciati domenica 22 giugno, nella sua casa di Milano, alla vigilia dei suoi 99 anni. La notizia, comunicata dalla fondazione che porta il suo nome, lascia un vuoto profondo nel panorama artistico nazionale e internazionale.
Il Maestro è stato una delle voci più autorevoli della scultura dalla seconda metà del ‘900. Le sue opere sono disseminate in giro per il mondo: dalla sede centrale dell’ONU a New York al Trinity College di Dublino ai Musei Vaticani a Roma davanti alla Farnesina; da Piazza Meda a Milano allo Storm King Art Center a Mountainville alla sede parigina dell’Unesco, tanto per ricordare solo alcune delle collocazioni più prestigiose.
I lavori intrecciano scultura, architettura, design e tecnologia, in una stratificazione culturale e tecnica senza pari nella realizzazione plastica contemporanea mondiale.
Nato nel Montefeltro nel 1926, si forma a Pesaro, per trasferirsi poi a Milano nel 1954. Qui si dedica prima agli altorilievi, per affrontare successivamente le realizzazioni in bronzo di grandi dimensioni. Ricorre a figure geometriche quali piramidi, colonne, cubi, sfere che squarcia alla ricerca del mistero racchiuso in quelle forme e in quel materiale.
Oltre ai capolavori scultorei, Arnaldo Pomodoro lascia in eredità la sua Fondazione: una delle prime istituzioni di questo tipo che non si limita alla gestione dell’archivio, ma che si adopera per un dinamismo generazionale. È, infatti, uno spazio culturale dove artisti emergenti possono formarsi e affermarsi. Attraverso progetti con scuole, università e tramite iniziative educative, la Fondazione è diventata un crocevia di energie creative e un ponte tra passato e futuro. Dunque, non è solo custode di un patrimonio, ma sostegno per gli emergenti.
Secondo la volontà del Maestro, questa continuerà a operare. Ha lasciato scritto infatti: “Non ho mai creduto alle fondazioni che celebrano un solo artista come unicum. L’artista è parte di un tessuto di cultura, il suo contributo attivo non può venire mai meno ed è per questo che ho concepito la mia Fondazione come un luogo attivo e vivo di elaborazione culturale, oltre che come centro di documentazione della mia opera, capace di fare proposte originali e non solo di
conservare passivamente. Ma il meglio deve ancora venire: questo è stato solo un inizio e nelle mie intenzioni il progetto – rivolto ai giovani e al futuro – si deve radicare, fare della continuità un elemento ineludibile...”
Un grandissimo artista: e non ci sembrano parole retoriche dire: ci mancherà.