Quanto siamo ancora barocchi

Siamo tornati al barocco. Non quello eccelso di Rubens, Bernini, Velázquez. Nulla che elevi lo spirito. Oggi, piuttosto, a lasciarsi trascinare si sprofonda. Nel vaniloquio di politici giovani e imbelli, per esempio, che emulano le iperboli di Cervantes o di Marino e, come quest’ultimo, hanno “per fin la meraviglia”. Presentarsi a corte in abiti esageratamente fastosi, pavoneggiarsi con incedere elegante, conversare con arguzia e adulare chi conviene, pur di sorprendere, affascinare, farsi ammirare: nel ‘600. Per questo, ora ci sono i social, templi delle vanità e dei rancori contemporanei. A frequentarli, si naufraga in una serie infinita di ritratti abbelliti da photoshop, come allora dalla clemenza del pittore. Luogo non luogo, dove le parole sono quelle ridondanti e prolisse del panegirico, se rivolte a chi si spera possa elargire favori, o riecheggiano la tracotanza di quelle dei Bravi, se dirette a chi la pensa diversamente. Ad abitarlo una schiera di pusillanimi che, protetti dall’anonimato, sfidano con spavalderia il prossimo in singolar tenzone (verbale), millantano esistenze inverosimili. Altri, lestofanti, si fanno gioco della dabbenaggine di anziani e rubano loro cuore e borsellino come bari e soldati di ventura. Altri ancora adescano fanciulli per i loro capricci e riportano ai festini segreti di principi e cardinali annoiati, in cerca di ulteriori e peccaminose vie al piacere. Mutano i canoni estetici: alle opulente carni delle donne di Rembrandt, si preferiscono quelle filiformi che il chirurgo libera dal grasso e dalla legge di gravità. Scenografiche le prime, rifatte le seconde. Cortigiane e influencer hanno in comune la propensione per l’artefatto. Per costoro, la finzione non è bugia. Siamo nel XXI secolo, ed è come se gli elementi più irritanti dell’epoca barocca riaffiorassero ovunque. Prosopopea, arroganza, trionfo dell’apparenza, teatralità di modi e di eloquio ricordano la nobiltà spagnola nel Viceregno. Gente disposta all’insulto e alla rissa per la sottrazione di un parcheggio. Si offende, sbraita, diventa paonazza. Il pensiero va a un qualunque Sua Signoria eccellentissimo, dalle alte piume sul nero cappello, brache e stivali da moschettiere, pronto a sguainare la spada a fronte di una precedenza non accordata. Il ‘600 è epoca di pestilenze, carestie, guerre di religione che nascondono sconfinata brama di potere e ricchezza. L’argent fait la guerre. Si vive costantemente nell’incertezza e nella paura. Di tutto e di tutti. Aristocratici, e grandi mercanti che ne emulano lo stile di vita, sempre più indebitati a causa dell’ostentazione di un lusso i cui costi non riescono più a onorare, temono, in egual misura dei popolani, l’untore, la miseria, chi professa una fede diversa e, perfino, la propria. Odiano l’inquisitore, il giudeo, il mussulmano, il calvinista. Pure lo scienziato e il medico che, per curare l’uomo, uccidono animali, vivisezionano cadaveri e sfidano Dio. Al rogo chi pratica un’arte che sa troppo di stregoneria e non guarisce. Solo le novene alla Madonna e i medicamenti dello speziale – erbe – possono, semmai, rimandare l’appuntamento con l’aldilà. Nell’anno domini 2025 hanno altri nomi: magistrato, israeliano, palestinese, capitalista, ricercatore. Il fuoco con cui li si combatte è, a seconda del caso, quello dello scandalo mediatico o del missile. Che un po’ di illuminismo ci soccorra.

L'Autore

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Nella sua geografia dell’anima ha Venezia, la città natale, nel cuore e la Versilia eletta a buen retiro. Quando nell’adolescenza le chiedevano che cosa avrebbe desiderato fare da grande, rispondeva sicura: viaggiare e scrivere. Così, per raggiungere lo scopo, si è messa a studiare lingue prima, lettere poi.  E sono oltre 30 anni che pubblica romanzi, saggi, scrive articoli, gira per il mondo. Ci sono tre cose - dice - di cui non può fare a meno: il mare, la scrittura, il caffè. Ah: è il direttore responsabile di AW ArtMag.

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