Un ricordo di Manfredi nel centenario della nascita

Buon compleanno Nino

Nino Manfredi, uno dei grandi interpreti della commedia italiana, viene giustamente celebrato, a cento anni dalla nascita. Un anno dopo Sordi e un anno prima di Tognazzi e Gassmann: un quartetto di nomi che ha rivoluzionato il nostro cinema del secondo dopoguerra. Anche se con caratteristiche diverse, e per questo unici e irripetibili, i quattro mattatori della commedia all’italiana sono diventati l’oggettivizzazione sul grande schermo dei molti vizi e delle poche virtù dell’italiano medio del boom economico, in continua lotta con un presente in rapida evoluzione e, allo stesso tempo, animato da mille contraddizioni. Dotato di un sarcasmo amaro e protagonista di una comicità che si fonda su solide radici drammatiche, Manfredi si rivela uno degli interpreti più versatili e attenti ai mutamenti dell’animo italiano, riuscendo nel corso della sua carriera non solo ad avvicinarsi con facilità a diversi canali di comunicazione (teatro, radio, televisione) mantenendo con tutti il medesimo peso attoriale, ma anche a conservare e a colorare ogni personaggio con le sue genuine e veraci origini ciociare. In realtà il destino di Manfredi doveva essere diverso.

Entrò infatti nel mondo dello spettacolo per gioco, spinto dalla curiosità verso una comunità a lui del tutto estranea. Parallelamente alla laurea in giurisprudenza, fortemente voluta dai genitori, Manfredi iniziò a prendere parte alle lezioni dell’Accademia d’arte drammatica dove stringe amicizia con Tino Buazzelli, Paolo Panelli e Luciano Salce: è il 1944. Le sue doti imprevedibili e il suo animo genuino attirarono l’attenzione della compagnia Maltagliati-Gassmann, che lo volle con sé. Manfredi colpì positivamente anche Eduardo De Filippo che lo diresse a teatro nel 1952, ma il giovane ciociaro si era reso conto che il teatro “impostato e drammatico” si configurava come uno spazio troppo angusto per la sua irruente giovinezza. Grazie ad alcune incursioni in spettacoli di rivista e nella commedia musicale (come “Rugantino” del 1962 di Garinei e Giovannini), Manfredi affinò le sue doti canore che, nel 1970, gli consentirono di entrare nelle hit parade con il brano “Tanto pe’ cantà”, un testo del 1932 di Ettore Petrolini. Dotato di un timbro vocale brillante e potente e, come detto, marcatamente vernacolare, Manfredi doppiò diversi attori stranieri e italiani, fra cui Mastroianni.

Ma il suo doppiaggio più comicamente famoso fu quello della voce narrante del film “Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi” in cui l’accompagnamento narrativo venne condito da gustosi modi di dire dialettali. Il suo esordio nel cinema avvenne nei primissimi anni ‘50 in alcuni film di ambientazione napoletana (“Torna a Napoli”, “Monastero di Santa Chiara”, “Anema e core”) dove, benché con ruoli secondari, Manfredi riuscì a lasciare la sua impronta genuina. Per interpretazioni di maggior importanza il giovane attore dovette attendere la fine degli anni ‘50, quando iniziò a lavorare a fianco della procace Marisa Allasio, con la quale divise anche il set del film d’esordio di Zeffirelli “Camping” (1958). Con “L’impiegato” (1960) di Gianni Puccini, Manfredi arrivò al suo primo ruolo di assoluto protagonista, vestendo i panni di Nando, un frustrato impiegato che, solo attraverso la lettura notturna di un libro giallo, riesce ad evadere dal suo mediocre quotidiano.

Lo spessore conferito al personaggio, sul quale intervenne già in fase di sceneggiatura, lo fece apprezzare dalla critica: si aprirono quindi le porte del cinema, che lo vide impegnato in oltre cento film. Pur conservando il suo spirito schietto e diretto, Manfredi con le successive interpretazioni, iniziò ad affinare la propria recitazione sperimentando una vasta gamma di registri recitativi. Con la moda dei film a episodi, sviluppatasi in Italia nella prima metà degli anni ‘60, riuscì a dare sfogo alle sue incredibili doti, approdando anche alla regia con l’episodio muto “L’avventura di un soldato” (da “L’amore difficile”, 1962), tratto da un racconto di Calvino, che stupì la critica. Interpretazione comica pura fu quella del personaggio di Dudù, guappo napoletano alle prese con un colpo al tesoro di San Gennaro (“Operazione San Gennaro”, Risi, 1966) dove recitò con Totò. Ma con Loy e Scola Manfredi raggiunse vette interpretative marcatamente drammatiche ne “Il padre di famiglia” (1967) e soprattutto con “Brutti, sporchi e cattivi” (1976) dove delineò i suoi complessi personaggi con “straordinaria sottigliezza” (Moravia). Vincitore come attore di cinque Nastri d’Argento e cinque David di Donatello, come regista si aggiudicò la Palma d’Oro come migliore opera prima al Festival di Cannes con il film “Per grazia ricevuta” (1967). Attivissimo in tv, ancora oggi viene ricordata la sua delicata interpretazione di Geppetto nel “Pinocchio” di Comencini.

Tenero e sentito è il ricordo del figlio, il regista Luca, autore sia del film per la tv “In arte Nino” (interpretato da uno straordinario Elio Germano), che del docufilm “Uno, Nessuno, Cento Nino”, in cui è possibile rivedere tutta la vita e la carriera di Manfredi, un grande attore magnificamente italiano.

 

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