E il padiglione resterà chiuso

La scelta russa nasce come atto forte di dissidenza nei confronti della guerra in atto. Diversamente, curatori e artisti del Padiglione Ucraino promettono di fare di tutto per partecipare

Di Michela Bassanello. Può succedere che l'arte, la cultura, lo spirito creativo di una comunità non siano più in grado di rappresentare i valori di un paese in cui vige un regime politico dittatoriale, militarmente aggressivo, che mette a repentaglio gli equilibri di pace calpestando i diritti umani fondamentali del proprio popolo e di altri. Quando ciò accade, si forma uno squarcio, uno scollamento profondo.
E allora l'arte, la cultura, lo spirito creativo di tale comunità si trovano a un bivio: reagire o farsi da parte.
Proprio in questi giorni, arroventati dagli inquietanti risvolti in divenire del conflitto fra Russia e Ucraina, il team del Padiglione della Federazione Russa per la 59° Biennale di Venezia ha comunicato la propria decisione di rinunciare alla manifestazione, in forte e chiaro segno di protesta contro la guerra in atto. Nessun Padiglione Russia dunque, solo un vuoto, un buco, un grandissimo silenzio. Nell’agire questa delicata scelta, il curatore del padiglione Raimundas Malašauskas ha incontrato immediatamente il sostegno degli artisti russi che l’avrebbero affiancato quest’anno a Venezia, Kirill Savchenkov e Alexandra Sukhareva, nella cui visione “non c’è posto per l’arte quando i civili muoiono sotto le bombe, quando la popolazione ucraina si nasconde nei rifugi, quando i dissenzienti russi sono ridotti al silenzio”.
I due artisti avrebbero presentato 914, una mostra ambiziosa che recupera la grande tradizione del teatro russo, nelle forme tipiche del balletto e della danza classica, il cui titolo simbolicamente rievoca l’anno di inaugurazione del Padiglione (1914). “Concepito come una coreografia gestuale, il progetto è il tentativo di affrontare la complessità del concetto di tempo dalla prospettiva del corpo, della materia e della tecnologia”, in piena armonia con il tema di questa 59° edizione che la curatrice Cecilia Alemani ha racchiuso nel titolo “Il latte dei sogni”.
Raimundas Malašauskas (Vilnius, 1973) curatore e scrittore di origine lituana, noto soprattutto per il suo contributo al Padiglione di Lituania e Cipro nella Biennale del 2013, ha spiegato le ragioni della propria decisione in un messaggio pubblicato su Instagram, breve ma incisivo e colmo di risentimento verso quella che ha definito “una guerra politicamente ed emotivamente insopportabile”. All’origine della sua scelta, infatti, non vi sono solo la condanna di una nuova guerra globale e la paura per i possibili scenari risolutivi, ma anche ragioni più personali e intime: da cittadino lituano, Malašauskas fu testimone della dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1989; da allora la Lituania ha avviato una fase di grande sviluppo, e il curatore auspica che il paese possa continuare a crescere e arricchirsi culturalmente, evitando l’epilogo triste e per lui “semplicemente intollerabile” di una nuova ricaduta sotto l’egemonia della Russia.
In risposta all’assenza della Russia in Biennale, il Presidente dell’istituzione Roberto Cicutto si è dimostrato comprensivo con il gruppo e ha espresso “piena solidarietà per questo atto coraggioso e nobile”. E prosegue: “La Biennale resta il luogo di incontro fra i popoli attraverso le arti e la cultura condanna chi impedisce con la violenza il dialogo nel segno della pace”.
Di tutt’altro avviso sono invece i tre curatori in essere del Padiglione Ucraino, Lizaveta German, Maira Lanko e Borys Filonenko, che confermano la propria perentoria volontà - anzi necessità - di essere presenti alla manifestazione per portare in campo l’arte quale unica arma legittima di difesa, e manifesto di libertà e uguaglianza, fratellanza e vicinanza al popolo ucraino. Sempre che le opere dell’artista ucraino Pavlo Makov (San Pietroburgo, 1958) riescano a sfidare il blocco degli spazi aerei, le ferite della terra e la cortina velenosa di fumo e terrore, e approdare a Venezia sane e salve.

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